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Il Bernoccolo della Scienza

Di recente ho letto un post interessante che pone un interrogativo legittimo sulle relazioni tra funzioni cognitive, cervello ed ereditarietà. Da qualche tempo poi seguo con un po’ di disagio MyGenomix, un blog che tratta di genetica e dei possibili intrecci con il versante del benessere e della prevenzione da malattie. Queste letture hanno finito per incontrarsi nel mio cervello e faticosamente vi dirò il motivo del loro strano incontro. Il post di D. Garofoli è davvero intrigante perché l’interrogativo finale riguarda il modo in cui dobbiamo concepire la costituzione del nostro cervello e come la mente si interfaccia con esso.

Abbiamo unità cerebrali circoscritte, scomponibili, sede di precise attività cognitive, ereditabili a scatola chiusa di generazione in generazione? Alcune ricerche, ad esempio, indicano che la memoria di lavoro (un particolare processo di memoria) fonda vari processi cognitivi superiori e sia ereditata come struttura neuronale definita. Se queste ricerche saranno confermate, si tratta di una scoperta eccezionale perché dimostrerebbe che un modulo cognitivo come la memoria di lavoro (più o meno all’altezza della fronte) è posizionata in un preciso luogo del cervello ed essendo selezionata dall’evoluzione è geneticamente trasmessa.

Il discorso genetico mi ha fatto pensare però al rischio di fornire un contributo causale e storicamente riduzionistico alla neofrenologia espressa dalle immagini prodotte delle tecniche di neuroimaging. In realtà la genetica non mi impensierisce solo per questo motivo. Piuttosto per l’inevitabile collusione con il mercato facendosi portavoce delle dinamiche prescrittive della cosiddetta “medicina della salute o del benessere”, raccogliendo una quantità enorme di dati che non sappiamo decifrare ancora in modo chiaro e prevedibile. Ad esempio accade che si possano prospettare diagnosi statistiche già prima della nascita grazie ai test genetici, indicando quindi con una percentuale di probabilità il rischio di disturbi fisiologici, neuropsicologici o psichiatrici da “prevenire” con farmaci o terapie preconfezionate da soggetti pronti ad approfittare dalla natura statistica e ancora poco definita di queste indagini.

Ora dal momento che il discorso può apparire quasi antiscientifico, che è poi la classica accusa rivolta contro coloro che hanno dei dubbi sui “progressi prescrittivi” della ricerca scientifica, voglio tornare sull’argomento del post di Garofoli. Possiamo mai pensare che abbia ragione la psicologia evoluzionistica e supporre che possano essere ereditate funzioni cognitive, geneticamente fondate, tra generazioni di individui come se ci si scambiasse un “arredamento neuronale”? Quale sarebbe allora la mappa biologica dell’attività mentale? Ok, queste domande sono affascinanti, soprattutto perché sono pensate a mio parere come al tempo della frenologia.

Questo filone di ricerche ha una lunga storia. Trovare la sede di funzioni cognitive elementari è stata un’ambizione già presente lungo tutto l’Ottocento, avviata dal lavoro di Franz Joseph Gall, medico tedesco e fondatore della frenologia. Questo approccio fonda il paradigma del localizzazionismo basato su tecniche di indagine quali l’ablazione di piccole strutture cerebrali, stimolazioni elettriche e la registrazione dell’attività elettrica della superficie nervosa, per risalire alla funzione cognitiva regionale. Lo scopo frenologico dal canto suo consisteva nel rintracciare la sede di tutta la costellazione psicologica della mente umana, dalle funzioni di base a quelle più complesse come il carattere e la personalità.

Nelle due immagini qui sotto, potete osservare la copia plastica direttamente ricavata dalla testa di Pierre Francois Lacenaire (1800-36), all’epoca un famoso killer francese, e di un criminale sconosciuto, Nobert. Esse appartenevano alla collezione di uno psichiatra, il dott. Gachet (1828-1909). Durante l’Ottocento la riproduzione plastica delle teste ghigliottinate era oggetto di particolare interesse per gli studi frenologici. I frenologi ritenevano che la forma, la dimensione delle aree del cervello e le sovrastanti formazioni ossee del cranio potessero fornire sufficienti indizi sulla personalità dell’individuo. In queste riproduzioni si possono ancora scorgere le aree della “introversione” e della “distruttività” cerchiate con le matite, “bernoccoli” prominenti di assassini e criminali. Non vorrei andare troppo oltre se accenno a cosa potevano portare tali studi sulle differenze etniche, psichiatriche, etiche. Più tardi l’italiano Cesare Lombroso in una serie di scritti di fisiognomica proporrà di mettere in relazione elementi morfologici del cranio e personalità deviante.

Localizzare zone specifiche prima attraverso lo studio della superficie del cranio, come nel caso dei frenologi che studiavano e interrogavano i “bernoccoli” della testa, poi seriamente nei lavori di indagine sulla citoarchitettura della struttura nervosa attraverso l’analisi istologica, fa parte del processo storico che ha condotto all’individuazione di fondamentali strutture neuropsicologiche come l’area di Broca o l’area di Wernicke, entrambe coinvolte nella produzione e comprensione del linguaggio. Questa metodologia ha generato studi spettacolari di estrazione neuroanatomiche di centinaia di cervelli, dai più comuni individui ai grandi personaggi della storia. A Mosca esiste la più grande e importante collezione di cervelli al mondo nell’Istituto del Cervello che annovera tra gli altri le materie grige di Lenin, Majiakovskij, Pavlov. Ma il cervello più importante a mio parere è quello di Einstein, diviso in 240 parti per essere studiato dappertutto e su cui Roland Barthes nei sui Miti d’Oggi ha scritto un magnifico pezzo di semiologia.

Di recente, per tornare ai tempi nostri, una bellissima ricerca di neuroimaging, cioè che fa uso di tecniche di visualizzazione dell’attività dei circuiti del cervello, mostrano che questo tipo di indagini anticiparono sperimentalmente i tempi, nonostante le impareggiabili ipotesi dei frenologi che pensavano di comprendere le caratteristiche mentali di una persona indagando esteticamente i lineamenti del cranio. Potete vedere nelle due immagini sottostanti una bella prova di cosa succede nelle cellule di una zona del cervello (esattamente l’area visiva primaria, che si trova all’incirca sotto la nuca) quando una scimmia osserva una configurazione particolare (nella figura a sinistra) e solo alcune specifiche cellule nervose (nella figura a destra) si attivano, in corrispondenza topografica, quando lo stimolo del disegno osservato colpisce la retina.

Allora? Questa lunga riflessione non mi porta molto lontano, apparentemente slittata su più scenari storici e tecnologici. Rimane sospesa, ironia antigravitazionale nel mio cervello. I cervelli rimangono come sempre al loro posto, pronti ad essere usati o estratti da cinici ricercatori. La psicologia non fornisce mai decisive spiegazioni, alle volte si dimentica di essere abitante del cervello. Bisogna saperlo usare il cervello con la giusta disincantata curiosità che sembra essere colta con inguaribile delicatezza da Van Gogh nel ritratto del suo amico dott. Gachet, collezionista di teste promettenti per la Scienza.

7 risposte su “Il Bernoccolo della Scienza”

In effetti il discorso sulla genetica cognitiva porta inevitabilmente alla frenologia, per una questione di linearità nella associazione tra geni e moduli cognitivi. In realtà, io credo che non sia possibile negare l’esistenza di moduli cognitivi e naturalmente di aree che mostrano un coinvolgimento in funzioni anche molto specifiche (d’altronde in neuropsicologia abbiamo numerosi evidenze di ciò). Il problema sta nel capire che l’esistenza di moduli non è dovuta allo schiudersi di un programma di sviluppo preconfezionato, ma alla continua interazione tra geni, ambiente cerebrale, corporeo ed esterno, lungo la traiettoria di sviluppo. Cioè, il fatto che esistano funzioni “modulari” nella vita adulta non implica che esse siano lì fin dalla nascita. Se tuttavia non esiste una linearità, ma esiste comunque una ereditarietà delle funzioni, bisogna capire come i geni agiscano in questo processo di interazioni multiple; che tipo di vincoli producano nel sistema e come questi vincoli possano essere ereditati. Nel caso della Working Memory, io non ho ancora capito per l’esattezza che cosa venga ereditato, visto che una rete funzionale così vasta dovrebbe essere associata ad un network strutturale enorme, che, se ottenesse un qualche vantaggio genetico, dovrebbe di fatto produrre vantaggi su tutta una vasta gamma di funzioni.

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Il problema della vulgata genetista consiste nella facile correlazione tra gene e funzione mentale. Invece come sappiamo un gene è connesso all’Rna e quindi alla proteina. Una linearità che non bisogna confondere con la complessità che sopraggiunge successivamente.

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[…] Nel 1862, in una conferenza espose la sua teoria del linguaggio, secondo cui la compromissione era correlata al danno neurologico nell’emisfero anteriore sinistro che causa “l’afemia” (rinominata afasia da Armand Trousseau). Fu un’ipotesi spregiudicata perché implicava una visione asimmetrica del cervello  (dato che l’area di Broca riguardava l’emisfero sinistro) e sposava la tesi locazionalistica delle funzioni cognitive, all’epoca una prospettiva innovativa che si riallacciava idealmente alla concezione frenologica. […]

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