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10 esperimenti famosi (e scorretti) di psicologia

Alex_Arancia_MeccanicaQuali sono stati gli esperimenti più controversi nella storia della ricerca in psicologia? Mental Floss ha pubblicato un articolo in cui sono stati selezionati 10 esperimenti famosi che oggi non potrebbero essere più realizzati perché eticamente scorretti.

Questi esperimenti vanno contro le direttive del codice di condotta e dei principi etici stilati dall’American Psychological Association, cioè del regolamento che tutela ad esempio la riservatezza della privacy o la salute psicofisica dei soggetti che partecipano ad un disegno sperimentale.

Oltre ai problemi del codice di condotta, alcuni di questi esperimenti sono “impresentabili” più che altro per certi stereotipi della cultura che rappresentano. In alcuni casi, gli esperimenti hanno aperto nuove frontiere di ricerca e dato fondamento ad alcuni modelli psicopatologici (ad esempio l’esperimento di Harlow). In altri casi, l’esperimento spaventa non tanto per la manipolazione psicologica, quanto per la conferma di ipotesi disumane sull’uomo (penso alle ricerche di Milgram e Asch o all’effetto spettatore).

Rimane aperta e forse irrisolvibile la questione sulla sperimentazione sull’uomo e sugli animali. Perché intervenire con  tale invasività nella sfera intima di un essere vivente? Quanto possono essere utili i cosidetti esperimenti “esplorativi”? Quanto tempo hanno fatto risparmiare alla ricerca certe pratiche invasive e impronunciabili su uomini o animali? I costi, ed è una domanda scandalosa, sono stati minori dei benefici in termini di cure, prevenzione e in generale di conoscenza scientifica?

Un fatto degno di nota è il problema metodologico nella maggiorparte degli esperimenti, tipico in psicologia: l’assenza del gruppo di controllo, cioè il campione di soggetti a cui non viene somministrata la variabile che si vuole studiare. Ad esempio, se voglio verificare che nella mia ipotesi somministrando x ottengo y, devo approntare una situazione parallela in cui non accade y perché non somministro la mia variabile x. Un esempio pratico: se penso che una figura autorevole possa influire sulla decisione del soggetto di somministrare scosse elettriche ad una persona, nel gruppo di controllo non deve esserci la figura autorevole. Nel primo caso mi aspetto, secondo ipotesi, un effetto dovuto alla variabile indipendente (la figura autorevole), nel secondo caso no.

E’ una fase cruciale del metodo scientifico, perché soltanto così posso essere sicuro che la spiegazione causale sia valida. Questo genere di ricerca sperimentale consente di manipolare la variabile indipendente, la condizione che determina il fenomeno osservato, a vantaggio dell’uomo (cure e prevenzione ad esempio). 

 

1. L’esperimento del piccolo Albert

John Watson è stato il fondatore del comportamentismo (1913). In poche parole, secondo il modello comportamentista l’uomo è un insieme intricato di associazioni tra stimoli ambientali e risposte comportamentali: tali connessioni sono l’unico oggetto di studio scientifico per lo psicologo. Con il condizionamento classico si indica la procedura sperimentale attraverso cui uno stimolo scelto dallo sperimentatore (chiamato “condizionato”) viene presentato contemporaneamente ad uno stimolo naturale (“incondizionato”)  per modificare il comportamento del soggetto. 

Alla Johns Hopkins University nel 1920, John B. Watson volle dimostrate come le emozioni umane fossero strettamente vincolate agli stimoli ambientali. Nell’esperimento, il piccolo Albert che aveva 9 anni era particolarmente affezionato ai topolini bianchi. Watson associò alla comparsa di un topolino bianco il suono sgradevole di un martello che batteva su un piano di metallo. Alla fine delle sessioni sperimentali il bimbo piangeva alla vista del roditore bianco e persino a stimoli associati a questo colore, come la barba bianca di un babbo natale.

L’esperimento ricevette numerose critiche, sia per la condotta cinica nei confronti di un neonato (diagnosticato idrocefalo) sia perché il bimbo non fu desensibilizzato dalla fobia acquisita. (Il bimbo morì all’età di 6 anni per motivi non legati al trattamento di Watson).

 

2. L’esperimento di Asch sul conformismo

Solomon Asch studiò il fenomeno del conformismo e in uno dei suoi esperimenti più noti i partecipanti dovevano stimare la lunghezza di alcune linee. Assegnò i partecipanti ad un gruppo di soggetti che erano in realtà d’accordo con il ricercatore, i quali decidevano allo stesso modo la misura e poi alla fine davano una risposta sbagliata. Trentasette dei 50 partecipanti si conformavano alla scelta errata del gruppo nonostante l’evidenza dei fatti.

Asch “ingannò” i partecipanti perché non chiese un consenso esplicito per il trattamento sperimentale riservato a loro e il suo esperimento non potrebbe essere replicato oggi in questa maniera. 

 

3. L’effetto “spettatore”

L’esperimento sull’effetto spettatore lascia senza dubbio sconcertati. Oggi probabilmente sarebbe considerato immorale. E’ stato messo a punto da John Darley e Bibb Latané nel 1968 per capire il motivo per cui molti testimoni oculari non intervengono durante un crimine. L’idea sperimentale nacque dopo il caso di Kitty Genovese, una giovane donna uccisa in un quariere di New York. Nonostante almeno 38 testimoni avessero intravisto la scena, nessuno di loro intervenne per prevenirla.

I due ricercatori condussero degli esperimenti che riproducevano la dinamica dell’omicidio della giovane donna, ad esempio si testava il comportamento di soccorso qualora il soggetto riceveva una chiamata di emergenza da solo o in compagnia di altre persone.

Il soggetto ad esempio riceveva la chiamata di una persona (in realtà un collaboratore del ricercatore) che, trovandosi nel piano inferiore, chiedeva aiuto per un attacco epilettico. Come ci si attendeva, se il soggetto si trovava solo era più probabile che intervenisse, invece se era in compagnia la probabilità di soccorso diminuiva drammaticamente. Questo comportamento fu spiegato con i concetti della diffusione della responsabilità e dell’ignoranza pluralistica.

 

4. L’esperimento di Milgram

Gli esperimenti di Stanley Milgram sono famosi per l’incredibile risultato cui pervenne studiando il grado di obbedienza delle persone alle istruzioni di una figura autorevole come ad esempio il ricercatore scientifico (puoi trovare in questo articolo un’analisi).

Nella situazione sperimentale, il partecipante somministrava ad una persona (in realtà un attore) un test e se riceveva una risposta sbagliata doveva somministrare una piccola scosse elettrica. Ad ogni successiva risposta sbagliata, l’intensità della corrente elettrica aumentava. Al soggetto era richiesto di andare avanti eseguendo l’istruzione nonostante gli effetti dolorosi che ne derivavano sulla persona che dava una risposta errata durante il test.

Milgram fu scioccato dal fatto che la maggioranza dei soggetti sperimentali eseguiva gli ordini nonostante il fatto sapesse di somministrare una scossa elettrica il cui voltaggio metteva seriamente a rischio la vita di chi riceveva lo stimolo doloroso. Milgram variò le condizioni delle sesssioni sperimentali, cercando di analizzare se ad esempio la vista della persona sofferente potesse influire sulla condotta del soggetto sperimentale. Addirittura, prima di una sessione, ai soggetti che dovevano somministrare la punizione fece provare sulla loro pelle la scossa, ma i risultati non cambiarono in modo significativo.

Sebbene oggi questi esperimenti siano ritenuti chiari esempi di inganno e ipotetico danno psicologico, continuano ad essere replicate e le conferme sperimentali suscitano notevoli inquietudini sull’imperscrutabile potere psicologico dell’autorità.

 

5. L’esperimento di Harlow

Harry Harlow nel 1950 ha realizzato degli esperimenti per comprendere se il bisogno di soddisfare un’esigenza primaria come l’alimentazione fosse il vero impulso che guida il comportamento di attaccamento del cucciolo verso la madre. Utilizzando cuccioli di scimmie resus, le pose in una gabbia da cui potevano raggiungere due mamme finte, una fatta di metallo che forniva cibo, l’altra invece soltanto foderata di pelliccia il cui unico scopo poteva essere quello di procurare “calore” (per un approfondimento clicca qui).

Con grande sorpresa, i ricercatori osservarono che le scimmie trascorrevano la maggiorparte del tempo con la madre “foderata” piuttosto che con quella metallica dispensatrice di cibo (soltanto un’ora al giorno). Anche quando venivano spaventati, i cuccioli preferivano dirigersi verso la madre rivestita di pelliccia.

Gli esperimenti di Harlow sono stati interrotti perché andavano contro il regolamento che sanziona il maltrattamento degli animali (gli spaventi procurati o le separazioni dalle madri). Anche gli odierni esperimenti che riprendono il disegno sperimentale di Harlow incontrano il deciso ostracismo delle organizzazioni animaliste.

 

6. Il senso di impotenza

Il gruppo di ricercatori guidato da Martin Seligman ha studiato il senso di impotenza appreso (learned helplessness). Nell’esperimento alcuni cani venivano posti in una gabbia divisa da una barriera che poteva essere superata. Somministrando una scossa elettrica i cani potevano evitare lo schok saltando nell’altra metà della gabbia. Ma se in una condizione, in un altro gruppo, il  cane riceveva delle scosse senza che potesse evitarle, quando era posto all’interno della gabbia con la barriera oltre la quale poteva sfuggire allo stimolo doloroso, non tentava di fuggire. Piangeva e restava immobile, perché aveva appreso precedentemente un senso di impotenza inseguito alla ripetuta esposizione a stimoli dolorosi incontrollabili in cui ogni tentativo di evitarli era inutile.

Per quanto sia evidente la brutalità dell’azione sperimentale sugli animali, i risultati hanno contribuito a fornire importanti evidenze scientifiche sui processi che conducono a psicopatologie importanti come la depressione e gli stati dissociativi (dai una lettura qui).

 

7. L’esperimento del campeggio

Muzafer Sherif ideò l’esperimento del campeggio nell’estate del 1954 allo scopo di indagare la formazione dei gruppi alla luce dei conflitti, osservando come si costituivano spontaneamente tra bambini che non si conoscevano prima di entrare in un campeggio estivo.

Dopo una fase di semplice osservazione in cui i bambini formavano coppie di amicizie, queste venivano specificatamente divise per creare due gruppi che spesso finivano per entrare in conflitto per pura competizione in varie attività. Quando il ricercatore imponeva uno scopo che poteva essere raggiunto soltanto se i due gruppi si fossero uniti, i bambini agivano in poco tempo come se facessero parte di un solo gruppo indivisibile e cooperativo.

Oggi questo esperimento è ritenuto poco etico perché Sherif ha ingannato i bambini senza aver spiegato chiaramente che stavano partecipando ad un esperimento di psicologia sociale. Inoltre non chiese nemmeno il consenso informato dei partecipanti.

 

8. Il Monster study

Nel 1939 Wendell Johnson nel tentativo di capire cosa causasse la balbuzie cercò di scoprire se potesse essere indotta in soggetti sani o eliminata in individui che balbettavano attraverso un certo tipo di insegnamento. Dividendo il campione di 22 bambini in due gruppi, uno avrebbe ricevuto un insegnamento che lodava le loro proprietà di linguaggio, l’altro invece applicava un trattamento che suggeriva direttamente ai bambini di avere dei problemi nel linguaggio.

Nessuno del secondo gruppo sviluppò la balbuzie, ma il disegno sperimentale fu decisamente discutibile dal punto di vista etico, sia perché 12 bambini  furono scelti dall’orfanotrofio sia perché l’esperimento procurò a molti bimbi negative ricadute psicologiche sulla loro autostima (qui su wikipedia potete leggere un resoconto più articolato delle sessioni sperimentali). Non a caso, i colleghi affibiarono il nomignolo Monster (mostro) all’esperimento di Johnson.

 

9. Studenti con occhi blu contro studenti con occhi marroni

Jane Elliott non era una psicologa ma un’insegnante americana famosa per il suo attivismo anti-razzista. Nel 1968, volle dimostrare con il suo esperimento che il colore degli occhi poteva determinare la preferenza positiva degli insegnanti verso l’alunno a scapito di chi non avesse quel colore. Dividendo infatti il campione in due gruppi, occhi blu e occhi marroni, definì l’uno superiore all’altro citando teorie scientifiche fasulle. Bastò un solo giorno perché il gruppo “superiore” si comportasse duramente verso quello inferiore che manifestava comportamenti più insicuri. Il trattamento differenziato, incoraggiante in un caso, umiliante nell’altro, creava un circolo vizioso che autoalimentava questa specie di effetto pigmalione.

Gli esperimenti, ripetuti nei due anni successivi, attirarono numerose critiche per la scelta immorale di trattare dei ragazzi in modo discriminatorio rispetto ad altri con l’inganno e senza tra l’altro chiederne il relativo consenso. Anche se alcuni partecipanti successivamente ne abbiano parlato come di un’importante prova nella loro vita.

 

10. L’esperimento di Zimbardo

Nel 1971, Philip Zimbardo condusse il celebre esperimento carcerario di Standford. Reclutati 24 soggetti maschi da un college (pagati 15 dollari al giorno per partecipare ad un esperimento sulla vita carceraria), in buona salute psicofisica, li divise casualmente in due gruppi: uno era quello dei prigionieri, l’altro delle guardie. Furono quindi condotti nel piano interrato di un dipartimento dell’Università di Standford, dove avevano allestito una prigione. L’obiettivo era quello di ricreare l’eperienza realistica di vita carceraria.

I prigionieri indossavano uniformi carcerarie, furono “spidocchiati” e vennero date loro standard informazioni sulla vita del carcere. Alle guardie furono date alcune generiche istruzioni tra cui quella di non essere violenti verso i prigionieri, ma di controllarli solamente. Il primo giorno passò senza incidenti, ma i carcerati già il secondo giorno si ribbellarono e barricandosi nelle loro celle ignoravano le guardie. Un atteggiamento che probabilmente istigò il successivo comportamento aggressivo di queste ultime, che separarono i “buoni” dai “cattivi”, eseguendo punizioni come le flessioni e utilizzando le celle di isolamento o una pubblica umiliazione per i carcerati ribelli.

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“In soli pochi giorni, le guardie divennero sadiche, mentre i prigionieri manifestarono segnali di depressione e di stress estremi”. Erano previste due settimane di tempo per il proseguimento dell’esperimento, ma finì molto prima quando Christina Maslach, la futura moglie di Zimbardo, al quinto giorno dell’esperimento fece visita alla prigione e gli disse “penso che sia terribile ciò che stai facendo a questi ragazzi”. Zimbardo ha descritto quelle giornate in L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa? e nel 2012 è stato insignito della Gold Medal Award for Life Achievement in the Science of Psychology.

link all’articolo su Mental Floss

3 risposte su “10 esperimenti famosi (e scorretti) di psicologia”

In alcuni casi mi sono immedesimato negli esperimenti come una cavia. Questo mi ha fatto realizzare la crudelta del mondo , delle istituzioni dei governi che appunto ci trattano come cavie da esperimento, da mutare o se non altro rovinare, poco importa i condizionamenti imposti sono come le leggi prova del momento per condurre le cavie in un o vari presupposti campi di concentramento dove poi lasciare le cavie oramai predestinate alla condizione creata.

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Un po’ off-topic, ma mi piacerebbe saperne di più.
Sto leggendo questo libro: http://www.amazon.it/gp/product/B004MYFLDG/ref=oh_d__o06_details_o06__i00?ie=UTF8&psc=1

Punished by Rewards: The Trouble with Gold Stars, Incentive Plans, A’s, Praise, and Other Bribes

Molto, molto critico con il “behaviourism” fondato da Watson. In pratica sostiene che il behaviourism semplicemente non funziona se applicato agli esseri umani se non in casi molto semplici e elementari, e che il meccanismo di instaurare premi e punizioni per migliorare la performance delle persone è non solo inutile, ma addirittura dannoso.

Sono a metà del libro, e sto cominciando con la parte sull’educazione dei bambini, in particolare l’usanza di dare premi/punizioni a scuola. E’ un libro molto ben fatto e parecchio documentato, si vede che l’autore è un ricercatore nel settore. Forse lo conosci anche.

Volevo sapere se ne avevi sentito parlare, e cosa ne pensi.

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Il libro non lo conosco e nemmeno l’autore. Posso dirti qualcosa sul comportamentismo. Si tratta di un modello teorico molto potente, che ha proposto un vero e proprio paradigma epistemologico e applicativo estremamente competitivo nei confronti soprattutto della psicologia introspettiva (leggi psicoanalisi).
La svolta è stata nella scelta dell’oggetto di studio: il comportamento visibile che può essere osservato, anziché quello interiore che potrebbe non esistere (black box). E ogni comportamento è appreso. Quindi, l’apprendimento è il processo chiave attraverso cui posso intervenire per modellare il comportamento della persona. Il condizionamento operante di Skinner è stato ed è lo strumento tecnico per eccellenza. Le ripercussioni sono state enormi come appunto nell’ambito educativo.

Come hai riportato, premio la risposta che desidero conservare (o promuovere) e precisamente non fornisco uno stimolo premio alla risposta che vorrei estinguere (non solo una punizione nel senso “cattivo” del termine, ma anche una non-risposta al comportamento problematico ad esempio).
Il modello nella sua (apparente) semplicità trova applicazioni dappertutto. In ambito clinico e riabilitativo, ad esempio per le fobie o sindromi come l’autismo è decisamente efficace.

Ma attenzione. Le cose si complicano con i piccoli alunni (statisticamente) normali. I processi di pensiero intrecciati alla risonanza emotiva di un bambino non sono riducibili alla logica “lineare” della tecnica comportamentistica.
Tuttavia, per certe condizioni ambientali e con scopi ben precisi, può dimostrarsi un efficiente strumento tattico per provocare un cambiamento.
Naturalmente, la questione che mi proponi è troppo ampia per risponderti in modo specifico. Ma grazie comunque per la segnalazione del libro.

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