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La paranoia e la tecnologia

Giuseppe_Arcimboldo_-_Summer_-_WGA00818Quale è la relazione tra la tecnologia e la paranoia? Avete la sensazione alle volte di essere controllati da oscuri agenti del web? Sospettate che la realtà che vi circonda sia un’illusione e non siete altro che al centro di un immenso reality show?

Mike Jay ne parla diffusamente sulla rivista online Aeon in un brillante articolo. Vi segnalo alcuni brani davvero densi di significati e proviamo a osservare la questione da vari punti di vista.

L’articolo parte con un chiaro riferimento al delirio del Truman Show, descritto in un bell’articolo dai fratelli Joel e Jan Gold  di cui già ho scritto abbondantemente in un precedente post (clicca qui). Riporta la storia di alcuni individui che pensano di vivere letteralmente dentro un reality show, “spiati” da telecamere nascoste dietro cespugli e specchi unidirezionali. 

Questi esempi sembrano catturare perfettamente lo spirito dei tempi: racconti rivelatori di un periodo storico in cui l’esperienza della realtà è curata e fatta su misura in modi sottili e insidiosi, per cui tutto quanto dalla mail alle ricerche online ci incoraggia discretamente a credere di essere il centro del mondo.

Queste storie ovviamente echeggiano il nostro momento storico saturo di tecnologia. Ciò che è poco chiaro è il motivo per cui [i pazienti] adottano rapidamente una prospettiva che, almeno fino a poco tempo fa, era segno caratteristico di un’alienazione dalla realtà. Questo significa che le tecnologie mediatiche ci rendano tutti quanti paranoici? O che i deliri paranoici improvvisamente hanno più senso di quanto si pensasse?

Arcimboldo - (10)A questo punto Mike Jay scrive che la prima persona ad analizzare seriamente la relazione tra le tecnologie e i sintomi psicotici fu Victor Tausk, uno dei primi allievi di Freud. Nel 1919 pubblicò un volume, The influencing machine in cui descrive la parnoia di molti pazienti, diagnosticati schizofrenici, convinti che la loro mente e il loro corpo fossero controllati da tecnologie sofisticate, invisibili a tutti eccetto che a loro. Le tecnologie spesso citate da loro corrispondevano ai nuovissimi macchinari del telefono, del fonografo, del cinema. Tausk vede una logica nella loro paranoia: il riflettersi di sogni e incubi di un mondo rapidamente in evoluzione. Le dinamo elettriche, i primi disegni delle anatomie dei network cerebrali, i nuovi apparati al radio per i raggi-x che rivelano un mondo fino al quel momento invisibile e sconosciuto. 

Secondo Tausk, tutte queste novità non stavano creando nuove forme di malattie mentali. Piuttosto, gli sviluppi tecnologici moderni stavano procurando ai pazienti un nuovo linguaggio per descrivere la loro condizione.

Il nucleo centrale della schizofrenia consisteva secondo Tausk nella perdita dei “confini dell’Io” da rendere impossibile al soggetto la possibilità di controllare la realtà e di formarsi un’immagine corerente del sè. E quindi l’emergere delle allucinazioni visive e uditive, la paranoia di essere preda di intrusioni dentro il cervello e di essere manipolati come marionette. C’è una proposta interpretativa degna di attenzione: questi pazienti sono soggetti a ciò che Tausk chiama “il bisogno di causalità che è inerente alla natura umana”.

Incapaci di imporre un significato al mondo, essi diventano vuoti recipienti per prodotti e credenze culturali che ruotano intorno a loro. Dal Ventesimo secolo, molti trovano se stessi aggrappati alla convinzione di essere tormentati da operatori occulti con tecnologie avanzate.

E se in passato le esperienze paranoiche a carattere delirante avevano avuto un carattere essenzialmente religioso (spiriti malvagi, messaggeri divini, stregonerie o trappole diaboliche), nell’età moderna sono disponibili spiegazioni alternative. Ad esempio, le allucinazioni non sono viste più nelle tre dimensioni ma come proiettate su un piano, sulla parete o viste dalla finestra. E’ la logica proiettiva della tecnologia cinematografica, che per molti versi fornisce una spiegazione razionale dell’esperienza percettiva nonostante il fatto fosse in-esistente.

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Come sottolineato dai fratelli Gold, la nuova cultura fornisce nuovi contenuti a certe forme di paranoia. Distinguendo la forma dal contenuto possiamo comprendere il ruolo delle nuove paranoie alla Truman Show all’interno di poche forme narrative del delirio. Ad esempio, il delirio di persecuzione lo possiamo trovare lungo tutta la storia della psicopatologia e in varie culture, ma se prima il controllo occulto era attribuito ad uno spirito del demonio o al maleficio di una strega, adesso è possibile sentire storie di manipolazione mentale dovuta a dispositivi impiantati nel cervello, chip sottocutanei o droghe cibernetiche assorbite inconsapevolmente.

E’ facile concludere che la spiegazione [di esperienze deliranti] siano piani premeditati dalla tv o dai social media: che, per qualche oscura ragione, l’attenzione del mondo si è improvvisamente rivolta su di noi e un pubblico invisibile sta guardando affascinato come ci comportiamo. Il delirio del Truman Show, quindi, non implica che sia la causa o il sintomo di malattia mentale; semplicemente può significare che la pervasiva presenza del reality televisivo nella nostra cultura offra una spiegazione plausibile per eventi e sensazioni altrimenti inspiegabili.

Giuseppe_Arcimboldo_-_Spring_-_WGA00817Sia chiaro: la formazione del delirio è una questione innanzitutto psicopatologica e spesso strettamente legata ad un profondo sviluppo infantile traumatico. L’articolo in questione propone un’ipotesi interpretativa stimolante: il bisogno di costruire scenari plausibili crea il terreno per un flusso interscambiabile tra cultura e paranoia. La science fiction ne è un esempio emblematico. Ci sono scrittori e romanzi che nella storia della letteratura hanno dato forma a contenuti immaginifici di potente forza narrativa in questo senso. Hanno letteralmente strapazzato i confini dell’io e del mondo mettendo in discussione l’integrità della coscienza, dell’identità, della stabilità lineare della realtà quotidiana. Philip Dick e Matrix sono prodigiosi esempi.

Insomma, l’articolo di Mike Jay è intrigante per come osserva l’associazione tra paranoia e tecnologia. Sembra che oggi questo rapporto sia meno alienante rispetto al passato. In un certo senso dà credito ad una visione del cervello umano che si è sviluppato sostanzialmente per gestire menti umane molto più che per raggiungere scopi strumentali. Supporre altre menti, supporre altre realtà e multiformi connessioni sembra che oggi faciliti l’integrazione sociale dell’utente. Prima era un miscuglio di stranezza, follia, emarginazione, visionarietà, misticismo e per certi periodi si rischiava il rogo. Oggi sono contenuti con cui quotidianamente abbiamo a che fare a casa, a lavoro, nei posti pubblici tradizionali.

Chattiamo con persone che non abbiamo mai visto e non sappiamo dove si trovano, scambiamo dati con nick e avatar, facilmente possiamo cambiare sesso, identità, tematiche personali. Ci sono game online giocati contemporanemanete da centinaia di giocatori, la cui identità non è più umana e il mondo virtuale ha perso ogni sembianza terrestre. Allo stesso tempo è possibile creare una realtà fotografica di quella che conosciamo, interagirci senza accorgerci che sia una registrazione (leggi ad esempio questo articolo). Ci stiamo evolvendo verso un decisivo decentramento dalla realtà percettiva?

1000533Impossibile trarne scenari conclusivi ma azzardo due sviluppi neurotecnologici: uno ormai presente e in fase di inarrestabile sviluppo tecnico rappresentato dalla tecnologia BCI (brain computer interface). Una cuffia di elettrodi il cui costo è ormai alla portata di tutti (intorno ai 200 dollari) registra le onde cerebrali che vengono tradotte in comandi che ci permettono di agire sul mondo senza muovere un dito. Il secondo più fantascientifico (ma ormai non deve lasciarci sereni quest’aggettivo): l’uso di droghe necessarie per innescare processi di pensiero idonei alla paranoia “autorizzata” dalla cultura sociale.

L’influsso della macchina (the influencing machine) non è più un oggetto non identificato nella mente di un paziente all’interno di un ospedale psichiatrico o la drammatica visione di un fanatico. Ma è uno strumento narrativo che può aiutare a capire le instabili sfaccettature tra l’esterno e l’interno della nostra coscienza diffusa socialmente.Il decentramento dalla gravità e dal senso del tempo assoluto, dalla fisica classica, dalla cultura dei nostri genitori, è un futuro incomprensibile ma ampiamente sperimentato da miliardi di persone a contatto con la tecnologia. Forse un giorno, la mattina ci sveglieremo e non saremo in arresto (Il processo), ma trasformati in un insetto (La metamorfosi).

update: Mike Jay è autore di un libro, The influencing machine, che vi consiglio di comprare immediatamente perché è uno splendido racconto su uno dei primissimi casi documentati di paziente paranoico, convinto che la sua mente fosse controllata da una macchina, The Air Loom (Il telaio aereo).

link all’articolo di Mike Jay

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