Categorie
Psicologia

L'attaccamento del bambino

Quante volte avrete sentito dire che quel bimbo è troppo “attaccato” alla madre? Quasi a voler sottolineare che un legame troppo stretto possa pregiudicare lo sviluppo delle autonomie del bambino. Invece l’attaccamento è un comportamento molto complesso ed è costituito da una sofisticata serie di segnali e comportamenti che l’infante manifesta e sollecita per ricevere protezione e calore da chi si prende cura di lui (caregiver, uno dei due genitori). In effetti, l’attaccamento ha attirato l’attenzione di parecchi ricercatori e clinici per il suo profondo valore psicologico nello sviluppo mentale del bambino.

Provate a simulare uno dei tipici scenari in cui il bambino piange prima della poppata, quando incontra un ostacolo nel suo cammino e non riesce a superarlo, quando conosce un estraneo, quando non ottiene ciò che vuole, quando lo lasciate all’asilo (gli esempi sono infiniti), ebbene il pianto è uno dei principali comportamenti che costituiscono il sistema comportamentale dell’attaccamento. Il solo suono che accompagna la sofferenza innesca in noi un impulso irresistibile a soccorrere. Viceversa, le lacrime sono una notevole prova estetica di tutto l’apparato di emergenza che la mente dell’uomo riesce a manifestare sin dai primi vagiti alla nascita.

I genitori conoscono bene questi segnali, facendo costante esperienza delle varie espressioni “negative” dell’attaccamento del figlio: la paura, la sofferenza, la disperazione, l’angoscia, la vergogna, la rabbia, la protesta. Questi sentimenti sono gli ingredienti emotivi che costituiscono la forma geneticamente determinata di richiamo che il bambino manifesta quando si trova in difficoltà o in pericolo. Automaticamente il genitore si adopera ad intervenire tempisticamente per far cessare il motivo di preoccupazione del bimbo. Attaccamento e accudimento sono in sostanza strettamente connessi, una volta attivate le sequenze emozionali e comportamentali vengono perseguiti gli scopi corrispettivi di richiamo e intervento.

Non esiste un unico stile di attaccamento, cioè ci sono diversi modi con cui il bimbo esprime l’attivazione interna (arousal) che emerge quando c’è un pericolo. La psicologa canadese Mary Ainsworth, prendendo spunto dal lavoro fondamentale di John Bowlby, ha dimostrato sperimentalmente che la separazione fisica o psicologica sia l’aspetto più importante per capire l’interazione madre/bimbo e può avere una decisiva influenza nello sviluppo futuro della personalità del bambino. In una “strana situazione” ha osservato insieme ai suoi collaboratori decine di bambini per comprendere le sfaccettature del legame di attaccamento in particolari situazioni di separazione.

La strange situation che ideò la Ainsworth è una sequenza standardizzata che dura due minuti circa e permette di analizzare scientificamente la separazione fisica, il modo cioè in cui la madre riconosce e risponde ai segnali di attaccamento e le modalità in cui vengono espressi dal bambino. In questa procedura strutturata di laboratorio il bambino è osservato durante una sequenza di fasi: 1) in un ambiente nuovo ma confortevole insieme alla madre, 2) con un estraneo e la madre, 3) da solo con l’estraneo, infine 4) con il rientro della madre nella stanza. Usando questa metodologia la Ainsworth ha scoperto tre stili di attaccamento infantile:

  1. Evitante (tipo A): il bambino inibisce i segnali di attaccamento;
  2. Sicuro (tipo B): l’infante esprime liberamente i suoi bisogni di attaccamento;
  3. Ambivalente-resistente (tipo C): il bimbo esprime segnali di attaccamento iperattivi e resistenti.

A questi tre stili di attaccamento corrispondono tre tipi di accudimento genitoriale, rispettivamente “insensibile”, sensibile in modo appropriato, sensibile in modo incoerente. Sebbene i tipi A e C siano classificati come attaccamenti insicuri, tuttavia non sono patologici perché i processi di comunicazione tra genitore e figlio comunque hanno una coerenza e stabilizzano il processo relazionale di accudimento e attaccamento.

Il modello sperimentale della Ainsworth si è rivelato scientificamente valido, fondato su una vasta mole di ricerche e replicato in tutto il mondo in diversi gruppi etnici e culturali. Le implicazioni cliniche delle disfunzioni nello stile di attaccamento, soprattutto in fase precoce, sono diventate centrali per comprendere alcuni quadri psicopatologici. Quando la sequenza interattiva caregiver-bambino da insicura diventa disorganizzata aumentano i rischi di insorgenza di gravi quadri psicopatologici come le dissociazioni, il borderline, i problemi d’ansia, i disturbi alimentari, le ossessioni e i problemi depressivi.

Non sempre quindi un bimbo è semplicemente troppo “attaccato” alla madre. Se ci pensate, l’attaccamento è un aspetto psicologico profondamente umano di un legame sin dalla nascita e nel corso della vita. Garantisce l’espressione di una grande conquista: la disponibilità di aiuto per risolvere un problema. Poter allargare la propria capacità di comprendere, esplorare, superare i limiti grazie all’aiuto degli altri è una opportunità che solo l’uomo ha saputo realizzare in ogni campo della sua attività. Ed è punto di partenza di ogni relazione terapeutica nel mitigare e risolvere la sofferenza psicologica.

Se volete approfondire in maniera chiara e nello stesso tempo rigorosa il concetto dell’attaccamento, vi invito a leggere direttamente Costruzione e rottura dei legami affettivi di Bowlby, un piccolo e bellissimo libro nel quale trovate una panoramica generale e ricca di spunti del concetto teorico cui lo psicologo londinese, ripudiato dalla Società Britannica di Psicoanalisi, dedicò l’intera vita.

2 risposte su “L'attaccamento del bambino”

Lascia un commento