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Il Delirio di Truman

ResearchBlogging.orgIl signor A. quando fu ricoverato dichiarò che tutta la sua vita era come il film The Truman Show, che gli attacchi alle Torri Gemelle non erano mai avvenuti bensì erano parte della “sceneggiatura” della sua storia. Infatti aveva viaggiato attraverso diversi Stati per vedere con i suoi occhi il World Trade Center e quando non le trovò al loro posto chiese di incontrare il regista. Per il signor A. tutte le persone nella sua vita erano parte di una cospirazione. Addirittura pensava che ci fossero delle telecamere all’interno dei suoi occhi.

Il signor B. fu ricoverato perché pensava di essere continuamente ripreso per una trasmissione di uno show nazionale. “C’è un piano che una donna deve rivelarmi a New York, in cima alla Statua della Libertà, in cui mi dirà tutto sulla rete di individui che mi seguono per riprendermi con una telecamera e mandarmi in onda… come nel film del Truman Show!”

Il signor C. è un giornalista ricoverato perché pensava che tutte le notizie fossero state prefabbricate per lui. Credeva che la redazione, i colleghi, i dottori e i pazienti dell’ospedale, i familiari non fossero sinceri e che tutta la realtà fosse una burla costruita dalle agenzie di stampa con cui lavorava. Durante la sua permanenza ospedaliera il signor C. ha provato a fuggire per scoprire la differenza fra le notizie “false” che ha ricevevuto e la reale situazione esterna al complotto.

Il signor D. stava lavorando a un reality show televisivo quando fu ricoverato perché riteneva di essere lui stesso parte delle riprese televisive. Egli credeva di esser segretamente ripreso da una squadra di teleoperatori pagati dalla sua famiglia.

Il signor E. affermava che il Servizio Segreto lo stesse seguendo per proteggerlo perché lui aveva “decifrato il codice”. “C’è uno schema simile a quello del Truman Show”. Egli credeva che le notizie fossero false e che la radio fosse registrata per lui. “Voglio ritornare alla mia vita reale e voglio scoprire cosa stia realmente succedendo nel mondo lì fuori!”.

Questi pazienti sono stati intervistati in una ricerca su una speciale categoria di disturbi psicotici che alcune persone possono sperimentare prendendo spunto da specifiche fonti culturali, quali i reality televisivi e il film The Truman Show. I ricercatori Joel Gold e Ian Gold hanno cercato di analizzare il ruolo del fattore culturale su questo disturbo fondato sul delirio (delusion). Alcuni di questi pazienti sono stati diagnosticati con gravi sindromi psicopatologiche, dalla schizofrenia al disturbo bipolare, hanno avuto precedenti ricoveri, hanno fatto uso di droghe, hanno tentato di suicidarsi, ma altri non hanno mai manifestato alcun sintomo sino allo scompenso psicotico e al successivo ricovero.

Tema ricorrente nelle convinzioni dei pazienti consiste nel fatto che essi vivono in un mondo popolato da persone che stanno interpretando una parte. Gi Autori dell’articolo pongono alcune ipotesi sulla formazione di questo genere di paranoia (da qui in poi farò uso di entrambi i termini paranoia e delirio, sebbene non siano in senso stretto la stessa cosa). La prima ipotesi fa riferimento alla sindrome di Capgras in cui il paziente ritiene che le persone a lui più vicine siano state sostituite da dei sosia e quindi siano degli impostori. Si tratta di un grave disturbo neurologico che rientra nella categoria delle sindromi di disconoscimento dell’identità altrui (misidentification syndromes). Tuttavia i pazienti del “Truman Show” non pensano che le persone intorno a loro siano dei sosia di qualcuno a loro caro che si trova in un altro posto, bensì mettono in discussione il ruolo delle persone che le circondano, non la loro identità (i colleghi di lavoro ad esempio non sono sostituiti da sosia, ma fingono di essere colleghi di lavoro).

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Un’altra intessante ipotesi, secondo i ricercatori Gold, potrebbe essere racchiusa nel fenomeno della depersonalizzazione, una condizione inedita di percezione della realtà in cui ogni cosa è vissuta come irreale o falsa. Ma i casi su esposti parlano di “un generale inganno organizzato” piuttosto che di una sensazione irreale della realtà tipica della depersonalizzazione.

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Una terza ipotesi fa riferimento al senso di irrealtà che caratterizza lo stadio iniziale della schizofrenia. È quella fase prodromica dell’emergere di una distorta sensazione in cui ogni cosa è sottoposta ad un sottile e onnicomprensivo cambiamento. Un mondo che appare man mano radicalmente alieno. Uno stato d’animo che richiama la paranoia del mondo irreale del Truman Show, anche se in questo caso dai pazienti viene riferita “una irrealtà controllata” rispetto alla esperienza psicopatologica della schizofrenia.

Ma un fenomeno culturale come il formato di un reality o lo scenario descritto da un film come il Truman Show quanto può influire nella manifestazione di una psicosi? Reiss e Wiltz (2004)  hanno effettuato una ricerca per analizzare quali tratti di personalità caratterizzassero gli spettatori che seguono i reality. Hanno riscontrato una potente correlazione tra reality e la dimensione dello “status sociale”, che comporta una preoccupazione sopra la media nel “sentirsi importanti”. Maggiore è il tempo dedicato ad osservare un reality, tanto maggiore è il senso di autostima sociale.

In una spiegazione di questo tipo mi viene subito da aggiungere che queste dinamiche sono connesse con una speciale ansia legata alla gerarchia sociale. La facilità di un “anonimo” protagonista di poter attrarre un’enorme attenzione dalla comunità dei telespettatori, impossibile fino a pochi anni fa, si concilia con un stringente bisogno di riconoscimento sociale. Chi è particolarmente ansioso del proprio status sociale quindi potrebbe sperimentare nel reality una potenziale possibilità di successo personale.

Reality e Truman Show ci dicono quanto sia interessante l’interazione della tecnologia (cioè dell’ambiente culturale) con la malattia mentale. Ho già scritto sulla psichiatria culturale e quanto il concetto di malattia mentale sia vincolato dalla geografia e dalla storia del luogo. In questo caso, l’innovazione tecnologica come l’invenzione di transistor, microchip e reti informatiche possono rivelarsi potenti veicoli per la costituzione di scenari deliranti e paranoici.

Tuttavia gli autori dell’articolo sottolineano il fatto che, malgrado la variabilità delle credenze deliranti, esse probabilmente poggiano su poche e universali credenze (distorte) di base. A questo punto, prendono spunto dall’analisi del delirio data da Jaspers che distingueva il contenuto del delirio dalla sua forma. I contenuti dei vari deliri hanno degli invarianti che ricorrono ripetutamente costituendosi in una forma generale.

Quindi i ricercatori scrivono che la specifica idea delirante è il contenuto del delirio, il tipo o la categoria del delirio costituisce la forma. Ad esempio, la credenza del paziente che le sue telefonate siano registrate dal servizio segreto è il contenuto delirante che rientra nella più generale forma del delirio di persecuzione; la credenza in cui ci si ritiene la star di un reality televisivo o di un film globale quotidianamente trasmesso è il contenuto specifico della forma più generale della mania di grandezza.

Ora, che sia la Cia o il kgb o il Grande Fratello concepito da Orwell a controllare la vita del cittadino, il contenuto può variare ma la forma delirante di persecuzione rimane la stessa. Sarebbe fantastico continuare la ricerca nella direzione di una indagine epidemiologica tra le nazioni e le culture per articolare in modo più sofisticato la comprensione del delirio psicotico.

In sostanza, i Gold sostengono che vi sia una plasticità culturale nei contenuti deliranti dei pazienti e secondo le ricerche la frequenza delle forme deliranti sembra mostrare una variabilità nel tempo. Ad esempio, in una indagine effettuata in 4 nazioni (Austria, Germania, Italia e Svizzera) i deliri religiosi tra il 1856 e il 1975 sono aumentati mentre quelli di colpevolezza sono diminuiti. La distribuzione delle forme di delirio varia inoltre tra le culture. La paranoia della gelosia sembra che sia più comune a Tubinga che a Tokio. Il sesso e la classe sociale sono fattori rilevanti. In Pakistan, un uomo benestante  è più probabile che manifesti manie di grandezza, mentre una donna povera è più probabile che esibisca manie di controllo e deliri erotomanici (Suhail, 2003).

Un’altra ricerca dimostra che il numero delle forme di delirio è relativamente piccolo. Stompe e altri ricercatori (2003) hanno elencato nella loro ricerca una lista di sette idee che possono essere centrali nel delirio: la persecuzione, la grandezza, la colpa, la religione, l’ipocondria, la gelosia e l’amore. A queste categorie i ricercatori Gold e Gold aggiungono: l’allusione o il rinvio ad altro (reference) , il controllo, il pensiero, il nichilismo e l’errata identificazione (misidentification).

C’è una ricerca (2004) che conferma l’ipotesi dell’emergere di specifici deliri in risposta a cambiamenti culturali, come il paziente che crede che le sue percezioni siano trasmesse agli altri attraverso internet (perception broadcast). Ad ogni modo, i ricercatori concludono che nuovi deliri non siano altro che nuove manifestazioni psicotiche di forme del delirio che non mutano nel tempo e tra le culture. I cambiamenti di contenuto del delirio, a detta dei ricercatori, non sono altro che “il vino vecchio in nuove botti”. La cultura è “patoplastica” nei confronti del delirio, può dar forma ai deliri ma non è patogenetica. Non crea nuove categorie di deliri.

Una conclusione che mi trova sostanzialmente d’accordo. Non penso che leggere Kafka, Orwell e Pynchon, oppure vedere A Beautiful Mind o Quarto Potere possa farci diventare paranoici o megalomani. Storie di spionaggio o di conquiste intergalattiche danno forma a ricerche personali, il cui confine d’esplorazione tra normalità e delirio è difficile stabilirlo. A me attira l’attenzione di più l’interessante dicotomia “dentro-fuori”, l’immagine che ci possa essere altro fuori dal nostro mondo, dalla nostra percezione, dai nostri pensieri. In questa prospettiva le ricerche sull’embodiment suggeriscono che il corpo più che la cultura determina certe metafore, ad esempio l’idea del nostro corpo (la testa, il cervello, le reti sinaptiche, la cellula neuronale, il dna…) come un contenitore di qualcosa. Curiosamente, nella psicosi del delirio ciò che assume rilievo non è il dentro ma il fuori, ciò che sta al di là.

Sarebbe interessante indagare se particolari culture o periodi storici siano caratterizzati da peculiari ideazioni deliranti rispetto ad altri sintomi, come le allucinazioni. Mi sembra particolarmente importante questa ipotesi, specie quando un Paese o un’etnia sono sottoposti a rapidi cambiamenti culturali, in un mondo sempre più connesso che facilita impressionanti flussi migratori. Sotto questo aspetto mi sembra plausibile che gli stress di questo cambiamento possano produrre una certa profusione di idee deliranti soprattutto in coloro che soffrono di disturbi psicotici. Addirittura potrebbe essere illuminante una ricerca che cerchi di capire se certi periodi storici o particolari culture siano più predisposti a sviluppare psicosi.

Joel Gold & Ian Gold (2012). The “Truman Show” delusion:
Psychosis in the global village Cognitive Neuropsychiatry : 10.1080/13546805.2012.666113

8 risposte su “Il Delirio di Truman”

Se penso a quanto sono diffuse le convinzioni riguardo complotti governativi e non, su quasi tutto (dalla Luna agli extraterrestri, dai magistrati ai poteri forti) comprendo come sia labile il confine tra conclamata patologia e cosiddetta normalità. Credo anch’io che tali generi di deliri e paranoie fossero diffusi anche in epoca passata, basta vedere le credenze e le superstizioni presenti anticamente. Resta per me interessante comprendere quale esatto meccanismo risulti profondamente alterato in questi casi patologici, perchè ritengo che sia un malfunzionamento anche nei casi cosiddetti normali

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Ci sono diverse teorie che tentano di spiegare i meccanismi eziologici del delirio e della paranoia, esposte nell’articolo e che ho evitato di includere nel mio post per non appensantire ulteriormente la lettura. Mi scuso di questa scelta “editoriale”. Alle teorie cognitive incentrate su un meccanismo cognitivo alterato del ragionamento, come i bias cognitivi, quella che più apprezzo è l’ipotesi di un disturbo della teoria della mente in questa tipologia di alterazione della realtà quotidiana.
In poche parole il problema sarebbe dovuto ad un inceppamento della capacità di automonitoraggio metacognitivo, cioè la capacità di monitorare i propri processi di pensiero. Così il soggetto non è più in grado di risalire alla proprietà dei pensieri e scenari emotivi che finiscono per inserirsi come corpi estranei nella propria coscienza. Insomma il soggetto non è più in grado di ‘taggare’ i propri pensieri da doverli attribuire a qualcun altro!
Un’ipotesi affascinante che a mio parere può essere collocata nel più ampio modello della psicopatologia fondata sui disturbi della coscienza (tema come ben sai a me molto caro).

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Mi complimento per il post. Sono d’accordo sul fatto che “tutto il mondo sia un palcoscenico” ed è naturale che i comuni luoghi del mondo traghettino i vissuti dei paranoici e dei SANI sopratutto. Prsonalmente sono affascinato dalla velatura psichiatrica che sembra quasi necessaria per sopravvivere. Questi pazienti, come spesso fanno i paranoici, attingono da riferimenti noti a tutti (immagianiamoci se, oltre a dire delle stronzate non fossero neppure comprensibili!). Però certe ideazioni, che chiamerei “paranoie attuali” hanno molta verosomiglianza. Se ad sempio le torri sono effettivamente crollate è altrettanto vero che il perchè resta un mistero. Se poi quello che viene definito, per consenso senza referenze, il responsabile (Bin Laden) viene catturato ma ucciso subito e poi seppellito in mare da una portaerei… insomma… in questo caso dove sta la stupidaggine inverosimile? Uso i francesismi “stronzata” e “stupidaggine” apposta, non soltanto perchè ho il turpiloquio nel sangue. Ricordo gli anziani, forse facilitati da un mondo più ristretto (e quindi informati in modo più ricco di dimensioni) fidarsi molto di più delle loro sensazioni circa la verosomiglianza delle cose rispetto a noi. La mucca pazza era sempre la stessa, non abbiamo mangiato fiorentine per anni per due casi ma fumiamo e andiamo a Detroit e Milano. Chi può si compra anche moto che vanno a 280… Il film Truman Show non è dedicato alla pazzia ma alla società. Amleto non avva strani dubbi, ma era alla ricerca di prove tangibili di una verità che, dal momento che gli era stata rivelata da uno spettro e andava a nozze con le sue sensazioni di schifo per il comportamento dello zio e della madre, avrebbro potuto indurlo in errore. Ma di persone come Amleto (sia per carattere che per mezzi) quante ce ne sono? In conclusione questi forme deliranti a forte attualità sono, a mio avviso, veri e propri allarmi sociali che il genio della follia da ad alcuni sfortunati il compito di diffondere inutilmente. Il senso della realtà è sempre più difficile da mantenere per overflooding informativo: non c’è disinformazione ma solo eccesso quantitativo di info scadenti e poco verificate. Ecco perchè i “matti” si tengono così ben aggiornati! 😉

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