Categorie
Psicologia Ricerche Psicologiche

Lo Stereotipo della Malattia Mentale

ResearchBlogging.orgQuando incontrate una persona con problemi fisici cosa pensate? Come appare per voi un down o un autistico? E chi è un ossessivo o soffre di disturbi ansiosi? E che dire dei sociopatici o dei senzatetto? In genere scattano delle reazioni emotive e giudizi automatici di cui magari non abbiamo piena consapevolezza. Ci basiamo insomma su stereotipi bell’e pronti, strumenti cognitivi che nel bene e nel male ci guidano nelle contraddizioni e complicazioni della vita quotidiana.

Lo Stereotype  Content  Model (SCM;  Fiske   et  al.,  2002) è uno strumento di indagine utilizzato in psicologia sociale per predire la variazione sistematica degli stereotipi, il pregiudizio emotivo e la discriminazione verso vari gruppi sociali. Negli ultimi decenni, gran parte della letteratura scientifica sulla percezione sociale si è concentrata su due dimensioni del giudizio sociale, la socievolezza e la competenza (warmth – competence). La dimensione della socievolezza fa riferimento a come viene percepita l’affidabilità dell’altro, cioè riguarda l’accettazione sociale (che può essere benevola o negativa). La competenza indica la nostra percezione di quanto l’altro sia in grado di raggiungere i suoi scopi.

Il contenuto dello stereotipo verso un gruppo specifico emerge dalla combinazione percepita di questi due fattori.  Ci può essere uno stereotipo univalente negativo, cioè associato a un gruppo percepito sia con bassa competenza sia con bassa calorosità (negli States, i barboni, gli immigrati lavoratori). Ci può essere uno stereotipo ambivalente, con percezione di alta competenza e bassa socievolezza, e viceversa (ad esempio: le persone ricche o le femministe nel primo caso, gli anziani, i disabili, le casalinghe nel secondo caso). Infine, uno stereotipo univalente positivo con cui si riconosce alta competenza e socialità ad un gruppo specifico (i gruppi normativi ad esempio, cioè i Cristiani, i Bianchi, la classe media).

L’associazione tra pericolo e disturbo mentale ha una lunga storia nella letteratura sullo stigma della malattia mentale. L’applicazione dello Stereotype  Content  Model ha fornito significative informazioni sulla connessione tra la percezione di pericolosità  e la tendenza a tenersi distanti verso coloro che manifestano disturbi mentali. In molte ricerche si apprende che le persone percepiscono potenzialmente molto violente (bassa warmth) coloro che fanno uso di droga, gli alcolisti, gli schizofrenici o chi soffre di depressione maggiore (Pescosolido et al., 1999).  Inoltre, la percezione della inabilità o dipendenza a prendere decisioni appropriate della persona con problemi psichici  può essere intesa come una mancanza di competenza.

Nella loro ricerca pubblicata sulla rivista Social Science e Medicine, Sadler, Meagor e Kaye hanno testato in due esperimenti l’affidabilità dello stereotype  content  model per studiare lo stigma della malattia mentale su un campione di soggetti reclutati online.

Nel primo studio su 61 partecipanti hanno indagato come è percepita l’onnicomprensiva etichetta “persona con malattia mentale” nelle dimensioni della competenza e della socievolezza nei vari gruppi sociali. Nel test somministrato una domanda tipica era: “In generale, gli Americani quanto credono che le persone con disturbi mentali siano amichevoli?” Il punteggio era assegnato dal partecipante su una scala Likert da 1 (per niente) a 5 (il massimo). I risultati hanno confermato le previsioni che in generale la categoria delle “persone con malattia mentale” nei vari gruppi che differiscono rispetto alla razza/etnicità, all’appartenenza religiosa, al genere, è giudicata incompetente, mentre nella dimensione della socievolezza (warmth) è emerso un quadro più variegato in relazione alle differenze percepite verso specifici disturbi mentali.

Per questo motivo, il secondo studio su 74 partecipanti è stato realizzato per approfondire le differenti sfumature dello stereotipo dei vari disturbi mentali in base ai criteri di competenza e socievolezza. Nei risultati i ricercatori hanno trovato 4 differenti stereotipi per vari gruppi con problematiche psichiche. Nella tabella che segue una sintesi dei risultati e nella figura sono illustrati 4 cluster distribuiti riscontrati nei due fattori della competenza e della socievolezza.

 

 

 Quindi dalle analisi statistiche è emerso che viene applicato uno stereotipo differente nelle due dimensioni della competenza e socievolezza a 4 gruppi diversi:

  • Il primo presenta sia bassa competenza sia bassa socievolezza percepita (cluster LW/LC) e include  persone con schizofrenia, disturbo di personalità multiplo, senzatetto e tossicodipendenti.
  • Il secondo presenta alta socievolezza e bassa competenza (cluster HW/LC), che comprende due sottogruppi, caratterizzati da deficit neurocognitivi e ritardo mentale.
  • Il terzo gruppo presenta un punteggio medio di competenza e socievolezza (cluster MC/MW)  e include persone con disturbi del comportamento alimentare, ansiosi o fobici, depressi, ossessivi compulsivi  e disturbi bipolari.
  • Il quarto gruppo presenta bassa socievolezza e moderata competenza (cluster LW/MC)  che comprende persone sociopatiche e i criminali violenti.

E’ evidente che gli stereotipi nelle due dimensioni della socievolezza e competenza differiscono verso 4 chiari sottogruppi di problema comportamentale.  Non vi è una singola unificante dimensione sottostante lo stigma verso la malattia mentale nei vari sottogruppi. Perché? Probabilmente si spiega col fatto che le persone basano i loro giudizi sulla percezione dei sintomi comportamentali manifesti dei soggetti in esame.

Ad esempio, nel gruppo a bassa competenza e socievolezza  (cluster LW/LC), gli schizofrenici o i senzatetto sono percepiti come incapaci e poco amichevoli e questo approccio riflette la credenza che le allucinazioni o le sofferenze psicotiche danneggino le funzioni cognitive e incrementino la possibilità di comportamenti imprevedibili nelle relazioni interpersonali. I tossicodipendenti, ad esempio, sono percepiti come inabili perché  si ritiene che la dipendenza dalle droghe comprometta il funzionamento mentale e renda vulnerabili a comportamenti illegali per mantenere abitudini disfunzionali.

Le persone con disturbi “interni” (depressione, ansia, fobia, disturbi alimentari, ossessioni) sono caratterizzati da comportamenti che abitualmente non danneggiano fisicamente gli altri. Piuttosto sono affetti da problematiche interne non osservabili in pubblico e generalmente non hanno difficoltà significative a mantenere un lavoro o una stabilità socio economica.

Infine i due cluster ambivalenti. Uno è quello con bassa socievolezza e moderata competenza, cioè sociopatici e criminali, che per definizione maltrattano o abusano degli altri ricavandone soddisfazione. Viene riconosciuta una media competenza per la pianificazione dei loro piani di azione nel raggiungimento degli scopi antisociali. Invece, le persone con ritardo mentale o affette dal morbo di Alzheimer sono caratterizzate da una minore capacità cognitiva per cause genetiche o biologiche. Gli individui con deficit neurocognitivi sono visti come persone che necessitano di assistenza per i loro bisogni fisici primari e, quindi, incapaci di autonomia e indipendenza.

Senza dubbio è una ricerca interessante. Da un alto, mi suona strano che nei test venga chiesto un parere in terza persona (“come pensi che i Bianchi giudichino i malati mentali?”). Mi sembra una procedura un po’ insolita. D’altra parte, i risultati sono notevoli. In particolare mi affascina la dissociazione tra “interno” ed “esterno” nella formazione di un giudizio sulla malattia mentale. Una malattia mentale se visibile fa scattare una serie di percezioni diversificate lungo una direttrice che vede ai due poli il funzionamento cognitivo (la razionalità?) e la socievolezza (i sentimenti, le emozioni?). Con il visibile noi ci riferiamo in genere a quei sintomi che probabilmente sono espressi verso, o in presenza di, qualcuno. Non solo, con il visibile noi ci riferiamo all’intenzione (alla coscienza? alla volontà?) della persona da valutare. I comportamenti espressi rendono probabilmente più semplice il giudizio sulla competenza e lo status sociale del “malato mentale”. E’ possibile capirne l’ostilità o l’affidabilità, la capacità di controllo o il successo personale. Sembra che quando i problemi psicologici sono meno evidenti e più interni, il giudizio diventi meno immediato e più cautelativo.

Sarebbe affascinante indagare le differenze nelle varie culture per chiarire cosa significhi per noi visibile e interno rispetto a chi vive in un ambiente storicamente e culturalmente lontano.

Sadler MS, Meagor EL, & Kaye KE (2012). Stereotypes of mental disorders differ in competence and warmth. Social science & medicine (1982), 74 (6), 915-22 PMID: 22321391

2 risposte su “Lo Stereotipo della Malattia Mentale”

Molto interessante. Sarebbe stato altrettanto interessante verificare come eventualmente venivano giudicati deformità fisica e orientamento sessuale, se per esempio in linea con le patologie o disforie mentali. Un’altra cosa che mi chiedo è se questi comportamenti sono appresi o connaturati (difesa della specie).
D’accordo sulla stranezza della domanda in terza persona, forse voleva giudicare quanto le persone aderiscono o meno a quello che ritengono essere il pensiero dominante.
Per quanto riguarda le tue osservazioni sulla differenza di giudizio interno/esterno, ponendo l’accento sull’aspetto decisionale/motorio per quanto riguarda la parte visibile del comportamento, con me sfondi una porta aperta.
Una possibile spiegazione è che le metafore del linguaggio verbale sono di chiara derivazione motorio-intenzionale (pensa solo a quanto può essere aggressivo o terapeutico il linguaggio, come può esserlo una vicinanza o una lontananza fisica) e che quanto più si allontanano dal loro contatto diretto con la fisicità (come avviene nell’interiorità) quanto più diventano sfumate.

"Mi piace"

Se ti riferisci agli stereotipi, penso che siano una combinazione di cultura e meccanismi biologici determinati geneticamente.
Molto utile l’accenno al linguaggio metaforico strutturato dalla immagine del corpo e dell’azione. Ma a me colpisce soprattutto la divisione tra visibile e non visibile, tra comportamento e mente. Secondo me, è una divisione tipicamente occidentale e che impariamo presto nell’educazione familiare. Sto cercando del materiale per saperne di più di altre culture.
E’ incredibile come siamo disposti ad affidare (rischio?) tanta consistenza ontologica a ciò che è mentale (invisibile) rispetto a ciò che è manifesto (il comportamento).

"Mi piace"

Scrivi una risposta a Carmelo Di Mauro Cancella risposta