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Riflessioni sulla Psicoterapia

Francis Bacon. Portrait of Lucian Freud

Perché andare in terapia? Perchè intraprendere la psicoterapia, spendendo una quantità di risorse in termini economici, di tempo, di impegno emotivo e sociale senza avere una certezza di raggiungere risultati verificabili? Dopo tutto nessuna psicoterapia garantisce benessere psicologico, tutt’altro.
Ad ogni modo ci si rivolge allo psicoterapeuta (PT) con una sofferenza di cui si spera di mitigare l’intensità. Eppure, rimangono gli stessi dubbi. Troppi soldi, troppo tempo, troppe incertezze. E poi, a chi rivolgersi? Quanti modelli terapeutici esistono? Sono differenziati in base alle varie psicopatologie oppure ogni modello è onnisciente su ciascuna tipologia di sofferenza psichica? Non basta: a chi rivolgersi? Ad un centro pubblico o privato? Anziano con esperienza o giovane fresco di studi e quindi aggiornato ma tuttavia con poco apprendistato? Chi promette brevi terapie o diffidando si accetta la terapia pluriannuale? Ma in fondo, non è meglio uno psichiatra, magari privato, paghi un paio di centinaia di euro, ti prescrive una terapia farmacologica per sei dodici mesi, nel frattempo fai un po’ di piscina o di yoga, e vediamo come vanno gli eventi?

Sono domande legittime. Ce ne sarebbero ancora. Molte. Più insidiose, più incomplete, cioè più insofferenti verso la sofferenza di una psicologia che presto con il nuovo assetto della riforma rischia di essere fagocitata dalla facoltà di medicina, ahimè. Quante domande da parte del paziente, anzi dell’utente, anzi della persona umana con una dignità, che vorrebbe prendersi cura di se stessa parlandone e affidando squarci intimi della propria storia ad una persona “esperta”. Domande coraggiose se badiamo ai rischi metodologici, teorici, clinici che sono in ballo quando si scommette sulla psicoterapia. Cosa può fare per me la psicoterapia? Cosa può capire dei miei problemi lo pt quando non sa nulla di me, essendo d’altra parte un utente diverso da tutti gli altri, pretendendo somme di denaro per svariati mesi senza avere garanzia che i probemi che mi affliggono siano risolti, che la mia vita prenda una piega differente dal tormentato ritmo giornaliero della realtà personale.

Certo, il panorama gobale nel nostro paese non è molto entusiasmante. Le prospettive sono piuttosto ingenerose. Pensiamo soltanto a cosa vuol dire recarsi settimanalmente dal pt e tenersi nella maggiorparte dei casi nascosta questa scelta per timore di essere ritenuti “pazzi” o “sbagliati”. L’immagine comune in molti casi  evoca “quello/a che ha dei problemi”, e la profezia che si autodetermina: “immaginavo che prima o poi andasse a finire così…”. Beh, una certa cultura della vergogna non perde il suo potere di interdizione dal gruppo di amici, a lavoro, nella coppia, nei parenti, nelle comitive, nei gruppi virtuali. Una riflessione, un parziale punti di vista su piccoli campioni non generalizzabili. Ma è un pezzo di realtà che pesa molto.
Prima era peggio, ma adesso non è meglio. Le geografie fanno pure la differenza, come pure il ruolo di altri attori sociali e culturali.

Nella mia personale pratica clinica molti pazienti rivelano questa forma di solitudine. Al di là dei pochi conoscenti, dei genitori (e anche questo non sempre è così…), non è gradito parlare di psicoterapia. Quanto meno suscita un certo disagio, reciproco, invisibile e dirompente. Il passo dalla vergogna alla colpa è breve. Essere “pazzo”, “con problemi”, significa essere responsabile di dolore. Causuarti dolore mentale è una operazione che suscita subito impazienza, insofferenza, irritazione se non uno sgradito confronto con la “normalità”, generalmente detestata e alterata nei fine settimana e paradossalmente riciclata di fronte al “disturbo mentale”. Servono soldi per curare un guaio contorto, poco chiaro, infantile, casuale, disturbante, lento a guarire, ingegnoso a rinverdire. Un curriculum sociale che rasenta una precarietà esistenziale enorme. Presentarsi con questo biglietto da visita non è incoraggiante. Quindi tenerselo per sè in fondo elude le trappole sociali della vergogna e della colpa.

I tempi cambiano, oggi più persone fanno yoga, adottano tecniche di rilassamento, ci sono i counselor e i coach, gli esperti di pnl, proliferano palestre e centri di “benessere”, la scienza del benessere contrapposta alla vecchia anchilosata psicopatologia italiana, arruginita intorno a due tre nomi di cento anni fa, a parte qualche importante eccezione. Continua una certa comica confusione tra psicologia, psicoterapia e psicoanalisi. Ma sono anche tempi traumatici per la stesso Inconscio, un po’ mummificato grazie ai suoi strenui adepti che tenacemente riescono a tenerlo in vita un po’ tradendolo quanto con una dose di autoinganno.

Riflessioni sulle riflessioni dei pazienti, di me paziente numero zero, che va in cerca di un professionista e per prima cosa in fondo comincia ad analizzare il proprio terapista, lo sottopone a logiche vivaci, a dubbi empirici, a giochi sofisticati. I pazienti sono i veri arbitri in fondo di decidere sino a che punto vale la pena continuare la terapia. Forse il lato più morale di questa forma di mercato qual è la psicoterapia.

2 risposte su “Riflessioni sulla Psicoterapia”

mi chiedo e le chiedo quanto gli stessi psicoterapeuti possano aver contribuito al formarsi di certe idee stigmatizzanti rispetto alla propria utenza, chi è il richiedente aiuto per lo psicoterapeuta? quali implicazioni la risposta a tale domanda comporta rispetto alla semantica della colpa, del deficit, dell’essere vittima? mi chiedo se la volgarizzazione della psicologia non sia parte del problema, chi non è convinto di sapere le motivazioni inconsce di quasi tutti quelli che conosce? se poi si tratta di uno che va in terapia c’è da sbizzarrirsi.
si può obiettare, a ragione, che la volgarizzazione della psicologia non è certo opera degli psicoterapeuti, ma credo che non basti dire “io non ho detto, sono loro che hanno frainteso”, non se la psicoterapia ha a che fare in vario modo e grado con istanze quali la liberazione, la responsabilità intesa come abilità a rispondere, il benessere, la critica sociale, la riflessione sull’uomo. non se gli psicoterapeuti hanno un potere e dunque una responsabilità nella costruzione dell’immaginario collettivo e nella semantica relativi al “paziente”.

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Io penso che la maggior parte degli psicologi siano dei ciarlatani. Alimentano l’idea che le malattie psichiatriche siano “disturbi” non organici che possono essere curati con la terapia della parole. Come se io avessi il diabete e andassi dallo psicologo per curarlo. Oltretutto molti di loro sostengono che i “disturbi” psichiatrici abbiano cause ataviche (ma quali se non chimiche?) e che, una volta riscoperte, il “disturbo” sarà curato. Dicono di poter curare questi “disturbi”, quando neppure la psichiatria non cura. E demonizzano la psichiatria. Un branco di ciarlatani imbonitori che sfruttano la disperazione delle persone per rimpolpare il proprio portafoglio. Spero che il mondo capirà, prima o poi.

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