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Due tipi di pensiero

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Quando cerchiamo di trovare una spiegazione ad un fenomeno possiamo utilizzare un criterio di tipo causale oppure di tipo finale. In altre parole, nel primo caso cerchiamo una causa efficiente, cioè quali sono stati i meccanismi precedenti che hanno portato al fenomeno in questione; nel secondo caso diamo una spiegazione in vista dello scopo verso cui tende. Aristotele fu il primo a definire in modo sistematico questi due tipi di cause.

Chiedersi il perché di un evento implica quindi due tipi di spiegazioni che hanno a che fare con il tempo: una rivolta verso il futuro, in grazie del quale avviene un evento, l’altra rivolta a quelle circostanze antecedenti che l’hanno causato. Ricorrere ad una spiegazione finalistica implica un atteggiamento teleologico, vale a dire che si presuppone un disegno intelligente creato da un artefice dietro all’ordine delle cose. Spiegarsi gli eventi in modo meccanico implica un atteggiamento empirico, sperimentale e scettico.

La causa finale è stata al centro dell’attenzione nelle dottrine filosofiche e religiose dal pensiero greco (Platone, V secolo a.c.) sino al tramonto della Scolastica, cioè per circa 2000 anni. La causa efficiente è il criterio adottato dagli scienziati a partire dal 1500, quando Galileo Galilei ufficialmente diede il via alla prima autentica Rivoluzione Scientifica. Da quel momento in poi, nella ricerca scientifica è diventata prevalente una visione meccanicistica dei fenomeni naturali, cioè la natura deve essere spiegata con la “natura” anziché ricorrendo a entità metafisiche e spirituali.

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I due atteggiamenti spesso corrispondono a due concezioni della vita differenti e agli antipodi quando sono in ballo temi scottanti come l’origine della vita, la salute fisica, il benessere psichico, la malattia terminale. Lo scienziato è il classico esempio del ricercatore che cerca di scoprire le cause attraverso cui avvengono fenomeni naturali. Il rigore metodologico, l’oggettività, il linguaggio formale, il metodo sperimentale, sono i tratti che lo contraddistinguono. Invece, chi abitualmente non fa scienza, cioè noi esseri mortali, generiamo ipotesi poco scientifiche ed irrazionali su noi stessi e sul mondo. 

Non è un fatto così grave, produciamo in continuazione ipotesi sullo stesso argomento e non importa se siano infondate dal punto di vista scientifico, a meno che si tenti di imporle come verità assolute. Da questo punto di vista, possiamo dire che le verità religiose e la conoscenza scientifica si occupano di argomenti non sovrapponibili.

Ma la mente di un uomo di scienza non è così differente da quello dell’uomo comune. Al rigore scientifico possono coesistere atteggiamenti magici verso il mondo, idee strampalate, stranezze comportamentali, bizarrie che talvolta, come sosteneva Thomas Kuhn, possono in effetti causare cambiamenti rivoluzionari nella stessa ricerca scientifica.

Non mi sorprende, la mente umana è fatta di storie, di costruzioni magiche del mondo, inevitabilmente protesa verso uno scopo. Siamo irresistibilmente attratti da spiegazioni teleologiche, il corso degli eventi tende ad un fine, posto da qualche vaga entità. Ci sono ricerche stimolanti che dimostrano come la spiegazione teleologica non sia così estranea nei ragionamenti di uno scienziato. Un po’ come i bambini che pensano che il sole esista per fare luce, anche gli scienziati sotto certe circostanze mostrano atteggiamenti poco scientifici e più magici.

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In una ricercaDeborah Kelemen e i suoi collaboratori hanno somministrato una batteria di 100 frasi a 80 ricercatori di fisica e di chimica a cui dovevano rispondere con un sì o un no. Alcune frasi contenevano spiegazioni teleologiche sulla natura, ad esempio “gli alberi producono ossigeno perché gli uomini possano respirare”. Metà degli scienziati doveva rispondere in 3 secondi, l’altra metà poteva prendersi tutto il tempo che desiderava.

Cosa hanno trovato? Che il 29% del gruppo sotto pressione era d’accordo con la spiegazione teleologica rispetto al 15% del gruppo non condizionato dal tempo. Mi dirai: sotto pressione si possono commettere degli errori. E’ vero, ma un buon numero di ricerche conferma questa “naturale” tendenza a credere che oggetti inanimati possano diventare animati, che possano essere stati “creati” per uno scopo, che recitare preghiere possa avere un esito sul corso degli eventi, che dopo la morte ci sia un aldilà.

Chi assume un atteggiamento rigorosamente scientifico, rifiuta queste affermazioni ritenendole irrazionali. Ma il pensiero superstizioso ha una sua “legalità” psicologica. Produciamo sistematicamente ipotesi sul mondo e su noi stessi per dare un senso e percepirci come attivi protagonisti della vita. Ho approfondito questo argomento [qui].

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Da un punto di vista educativo, si pensa che la scolarità, la modernizzazione, lo sviluppo scientifico, possano soppiantare certe concezioni errate della vita e ridurre gli errori sistematici del nostro pensiero. Eppure ci sono ricerche che dimostrano che con l’età gli adulti sviluppano e mantengono attivamente credenze soprannaturali, al contrario di quanto ci si possa aspettare. Nella loro metanalisi su 30 ricerche, Legare e colleghi hanno dimostrano come le persone di diverse culture e di vari paesi, anche nel corso della vita, sviluppino credenze magiche sui tre maggiori temi esistenziali: l’origine della vita, la malattia e la morte. 

Le loro ricerche contraddicono la comune affermazione che le credenze superstiziose svaniscano con l’età e lo sviluppo intellettuale. Che siano in paesi industrializzati o in via di sviluppo, gli adulti adottano spiegazioni soprannaturali con più frequenza rispetto ai bambini. In sostanza, gli autori della ricerca sostengono che i due tipi di spiegazione non competono, ma coesistono.

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Queste ricerche le collego ad altre ricerche che utilizzano il Cognitive Reflection Test (CRT), un test che misura la capacità mentale di sopprimere le risposte intuitive sbagliate in favore di un ragionamento più riflessivo e lento. Nella ricerca pubblicata sul Journal of Experimental Psychology di Amitai Shenhav e colleghi di Harvard, le risposte dei soggetti che avevano alti punteggi al CRT, cioè risposte intuitive sbagliate ad una batteria di domande su diverse questioni, erano correlate alla loro credenza in dio e nell’immortalità dell’anima.

C’è una ricerca di Will Gervais e Ara Norenzayan della University of British Columbia pubblicata su Science dove in 4 esperimenti vengono studiate le relazioni tra il pensiero analitico e le credenze religiose. I ricercatori dimostrano che promuovere il ragionamento articolato e analitico favorisce un approccio più scettico verso le rappresentazioni religiose della vita. Uno degli esperimenti era costituito da un compito di comprensione di frasi e per metà del campione esse contenevano parole come “analisi” o “riflettere”. Questo effetto di “priming” (stimolo che il soggetto riceve inconsapevolmente) abbassava il punteggio nelle credenze in Dio, il diavolo e gli angeli.

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Sono esperimenti che cercano di mettere in relazione la credenza religiosa con la velocità del pensiero. Più pensi veloce, minore è la possibilità di essere scientifico. Richiama un po’ un’idea del senso comune: chi pensa troppo in fretta (o non pensa affatto!) rischia di dire delle stupidaggini. Ma le cose non sono così ovvie.

Come vogliamo chiamarlo questo tipo di pensiero, magico superstizioso o religioso, sono espressioni riferite a sfere private, appartengono alla scelta di poter inventare, supporrre, sbagliare, pensare lentamente o non pensare affatto. Hanno una loro legalità psicologica. Persino per adulti e scienziati si esprime in una “naturale” coesistenza di conoscenza scientifica e narrativa. Puoi anche farti un’idea sulla distinzione tra pensiero paradigmatico e narrativo in questo articolo.

Alle volte penso che la secolarizzazione del sapere, cioè il processo di indipendenza e autonomia della ricerca e della conoscenza rispetto all’autorità religiosa, abbia finito per accellerare anzicché dissipare il ragionamento magico delle persone. L’immenso deposito di conoscenze, la libertà di accesso in ogni luogo, l’automatismo tecnologico che tende a richiedere il minimo sforzo fisico e mentale, consentono di rinviare la riflessione.

Non so quali possano essere gli esiti futuri. La velocità può essere problematica e imprevedibile sia per il pensiero individuale sia per lo sviluppo tecnologico. L’esperienza clinica, i casi di psicoterapia, mi aiutano a capire che velocità e lentezza del pensiero, magia della narrazione ed eleganza scientifica hanno irresistibilmente bisogno l’uno dell’altro.

 

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Fonti:

Kelemen, D., Rottman, J., and Seston, R. (2012). Professional Physical Scientists Display Tenacious Teleological Tendencies: Purpose-Based Reasoning as a Cognitive Default. Journal of Experimental Psychology: General DOI: 10.1037/a0030399

What Kind of Thinker Believes in God?

Professional Physical Scientists Display Tenacious Teleological Tendencies: Purpose-Based Reasoning as a Cognitive Default

Analytic Thinking Promotes Religious Disbelief

Letture consigliate:

Il caso e la necessità di Jacques Monod

Storia della filosofia occidentale di Bertand Russel

La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn

9 risposte su “Due tipi di pensiero”

Uhm,interessante. Mi vengono in mente, così al volo, due o più riferimenti: al l’appunto di Kafka nei suoi quaderni di Zürau, per cui la felicità sarebbe trovare l’indistruttibile ma non aspirare ad esso; alla perdita di valore scientifico diffuso con la accelerazione e la superficialità cui siamo ormai obbligati; alla necessità di un esito trasformativo cui questo stato predispone… ( grazie, materiale per pensare, per confrontarsi con l’abbandono )

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Grazie per il tuo intervento Valerio. In effetti Kafka si presenta a questo genere di riflessioni come un “attrattore” narrativo che condensa visione esistenzialista e meccanica dell’uomo contemporaneo.

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Molto interessante. Mi chiedo :”teleologicamente parlando, il fenomeno cinque stelle è nato per la pacifica, ambientalista,partecipativa collaborazione di rinascita e pulizia di un paese ricco e creativo, o per la distruttiva e rabbiosa mania narcisistica di un capo che induce alla guerra civile?”Vorrei che la mia domanda fosse la sua. Grazie, ciao.Doriana

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Doriana, credo che sia una domanda che in questi giorni stia risuonando in molti cervelli… Devo confessarti che subito dopo le votazioni avevo buttato giù alcune riflessioni sulla comunicazione e le intenzioni di Grillo, ma è rimasto fermo in una bozza. Non voglio fare entrare la politica in modo così diretto in questo blog.
Ritornando alla tua domanda, difficilissima, penso che adottare una prospettiva teleologica in un contesto di massa, più specificatamente politico, si rischia di trasformare il finalismo in un dogma, in codici prescrittivi decisi da chi si è assunto l’onere di ricevere l’illuminazione…
Poi, quando sento dire che parte tutto dal basso non significa che sia per principio meglio e non criticabile. Intanto aspettiamo un Menenio Agrippa che ci faccia capire la qualità del loro finalismo.

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“Le due forme del pensare” è il titolo del secondo capitolo del libro di Jung “Simboli della trasformazione”: in esso Jung distingue il pensiero logico da quello associativo,per immagini e ne parla diffusamente.
Se non lo conosci, forse ti potrebbe interessare.
Giorgio

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Grazie Giorgio per la segnalazione, ma non so se riuscirò a recuperare il libro e studiarmelo, ahimè, per la mole di lavoro in corso. Magari, se possibile, potresti riportare qualche riflessione junghiana in relazione al tema del post.

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Il metodo sperimentale è il frutto di una scienza agli albori, ma anche la scienza si evolve.
Abbiamo visto come la teoria della relatività di Einstain abbia soppiantato la fisica di Newton.
Popper definisce la scienza come processo di autoconfutazione.
Tutto questo ha fatto uscire la scienza dalla trappola della metafisica in cui il positivismo ottocentesco l’aveva posta.
Lo spirito scientifico si fonda sulla ricerca e su un atteggiamento di umiltà nei confronti del mistero in cui siamo immersi.
Pertanto niente che appartiene alla scienza è mai definitivo.
Anche la distinzione di causalità e finalismo sono modi provvisori verso qualcosa che non ci è ancora dato.
La psicologia, in particolare, ci aiuta a comprendere quanto la tanto decantata oggettività sia poco oggettiva. Il cognitivismo prima e il costruttivismo poi hanno ben messo in evidenza quanto di soggettivo c’è nella mente e come lo stesso osservatore condizioni l’oggetto osservato.
Meritano attenzione e cautela anche i metodi di osservazione oltre che le ipotesi di ricerca.
Merita riserva l’atteggiamento che vede nella scienza la soluzione di tutti i problemi. La scienza è fondamentale per l’evoluzione dell’uomo ma la scienza va sempre ridefinità.

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Non credo che lo scienziato cerchi una soluzione a tutti i problemi, anzi sembrerebbe sia la preoccupazione dei metafisici e dei moralisti.
Lo scienziato semmai, come emerge dalle tue osservazioni, pone interrogativi, si mette in discussione, sperimenta piuttosto che “affidarsi”.
Allo psicologo tocca un destino professionale delicato nel preservare un certo equilibrio tra problema e soluzione.

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