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Psicologia Scuola

Rabbia Scolastica

In pochi giorni sono accaduti due episodi interessanti. I protagonisti sono stati due ragazzi di 10 e 11 anni. Entrambi in quinta elementare, il più grande autistico. I ragazzi hanno manifestato la loro rabbia energicamente, B. (che è biondo) verso la maestra, A. (autistico) verso di me. Non è insolito assistere a comportamenti rabbiosi in una classe delle elementari. Anzi, nell’età scolastica la rabbia assume inesauribili “versioni” nel modo in cui viene espressa e nei contenuti in cui è spiegata. Come al solito ciò che conta è la sequenza dei comportamenti messi in atto e lo scopo implicito che riguarda il tipo di relazione tra i contendenti.

B. è un ragazzino “difficile”. A casa non svolge i compiti, probabilmente non è affatto seguito. Il rendimento è sotto la media perché, non studiando, l’apprendimento è connesso con la lezione quotidiana, quindi estemporaneo e dipendente dall’umore. Nel gruppo classe ha un ruolo gregario e spesso tende a non partecipare ai giochi collettivi. Si arrabbia ad ogni occasione di frustrazione, quando non riesce più a giustificare i compiti non eseguiti, quando non ha “voglia” di svolgere il compito in classe come tutti i compagni, in quelle occasioni in cui si sente preso in giro o quando non riesce a fare canestro in palestra. Rabbia che sfocia in aggressività prendendo a calci una porta, lo zaino, il banco o colpendo (ma raramente) un compagno.

Alcuni giorni fa, appena rientrati in classe dalla palestra, io e la maestra ci siamo accorti che B. era contrariato. Lei ha chiesto agli alunni di effettuare un esercizio di grammatica e B. si è rifiutato urlando che non ne aveva alcuna intenzione. Non è mio compito intervenire perché essendo l’operatore del ragazzo autistico non devo intromettermi negli affari della classe. La maestra rispetta questa regola, ma stavolta mi ha chiesto di forzare il patto. Il mio consiglio è stato puramente comportamentistico: “evitare” ogni mossa aggressiva dell’alunno senza rispondere a parole o con lo sguardo.  Avvertendo la maestra di aspettarsi un incremento delle manifestazioni aggressive che tuttavia sarebbero durate relativamente poco.

E’ stata dura, B. ha iniziato ad inveire, ha scalciato il banco disturbando il compagno, poi ha lanciato il quaderno in aria e infine ha preso a calci lo zaino sino a sotto la scrivania della maestra. Lei continuava a svolgere altre mansioni, correggeva, dava suggerimenti ad un alunno, mi osservava imperturbabile (“avrei voluto dargli uno schiaffo!”, in seguito mi ha confessato). Poi, ad un certo punto, è andato a prendere lo zaino, il quaderno e le penne da terra. Si è seduto e ha svolto il compito, senza aggiungere alcun commento.

L’altro episodio è accaduto un paio di giorni fa. Mentre stava completando un lavoro di pregrafismo, A. (un ragazzino autistico che seguo da tre anni) arrestava spesso la scrittura e batteva la punta della matita sul banco. Riprendeva per qualche secondo a scrivere e si fermava battendo la punta. Poi ha tentato di abbracciarmi. Io l’ho invitato a finire l’esercizio e con un sorriso di sofferenza riprendeva la sequenza circolare: alcune lettere, percussioni con la matita, tentativi di abbraccio. Alla fine ho detto: “sono stanco, che ne pensi di fermarci?” e A. ha risposto immediatamente di sì. Dopo qualche minuto, ho avviato un piccolo lavoro non troppo impegnativo per A. e dopo alcune battute mi ha colpito al braccio con una manata. Mi sono irrigidito ma ho continuato a porre alcune domande brevi e A. ha tentato di afferrare il braccio per tenerlo stretto a sé (il suo modo per riparare). Alla fine abbiamo concluso il compito e mi sono allontanato dichiarando la mia soddisfazione per l’ottimo lavoro.

Due rabbie con la stessa logica associativa. Rapide associazioni che sono fondate all’interno di processi prevalentemente emotivi; mentre l’adulto, diversamente, tenta di bilanciare le emozioni al ragionamento e alle prescrizioni. Rabbie con scopi specifici. Nel primo caso, B. ha tentato in tutti i modi di innescare uno schema ben preciso: “sono triste e mi arrabbio, la maestra si arrabbia; mi sgrida e io sono triste”, allo scopo di assicurarsi l’attenzione (cioè la vicinanza). Le associazioni per essere mantenute richiedono continui rinforzi e queste situazioni sono occasioni ghiotte per i bambini. Riconoscevo quindi di più non tanto il comportamento arbitrario e insopportabile del bambino, quanto la natura costrittiva della relazione che intendeva mantenere a tutti i costi.

Nel secondo caso, A. ha tentato di innescare una sequenza di comportamenti utilizzando due tipi di sentimenti apparentemente opposti: la tenerezza di un abbraccio e la rabbia per la mia indifferenza alle lusinghe degli abbracci. Lo scopo era lo stesso: costringermi a desistere dalle richieste di carico cognitivo. L’evitamento (la mia indifferenza), d’altra parte, aveva il preciso obiettivo di non rinforzare il comportamento non funzionale. Ciò che mi sono proposto è stato di fornire modelli di risposta socialmente accettabili, affermando ad esempio: “sono stanco, che ne dici di fermarci?”, oppure continuando il lavoro e premiando A. alla fine, dopo la difficile prova. Perché può accadere non tenere il passo in un mondo imprevedibile, insopportabile per un autistico. Ed è importante imparare a tollerare gradualmente la disperazione di rimanere dietro.

 

 

2 risposte su “Rabbia Scolastica”

Mi viene in mente per esempio, quello che accade con gli animali da compagnia, segnatamente i cani, in cui bisogna insegnargli a non essere eccessivamente festosi al nostro rientro, magari dopo un’assenza di una giornata, per non indurre, quando ce ne andiamo di nuovo, ansia da abbandono.

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Infatti con il metodo ABA, al momento il trattamento più efficace per l’autismo, gli interventi sulle associazioni stimolo/risposta hanno un valore applicativo notevole. Teoricamente riprendono il modello skinneriano generalizzabile dai topi ai bimbi in età prelinguistica, ad alcune forme di autismo. Come nel tuo esempio sui cani, trovo sempre una ennesima prova alla teoria evoluzionistica che ci pone all’interno della scala evolutiva.

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